Accordi cosidetti gestionali
di SAVERIO FATONE
Accordi cosiddetti gestionali, autonomia contrattuale del lavoratore ed autonomia collettiva: una questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma, della legge 223 del 1991.
Estratto dalla Giurisprudenza italiana, 1995 Disp. 11a, Parte I
TORINO
UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE
(GIÀ DITTA POMBA)
CORTE COSTITUZIONALE, 30 giugno 1994, n. 268 – CASAVOLA
Presidente – MENGONI Relatore .
Lavoro (Rapporto di) – Accordi sindacali – Potere di deroga alla legge in relazione ai criteri di sce lta dei lavoratori da licenziare stabiliti dalla norma stessa – lnsus.dstenza di tale potere nella dispos izion e im pu gnata – lnconferente richiamo alla efficacia erga om nes dei contratti collettivi – Non fondatezza (Cost. artt. 3, 39, 41,1° comma, legge n. 223 del 1991, art. 5,1° comma).
Non è fondata la questione di legittimicà costituzionale dell’arL 5, 1° comma, della L. 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, crauamenti di di soccupazione, attuazione di direttive della Comunità Euro pea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro) nella parte in cui prevede che un ac cordo sindacale possa determinare criteri di scelta dei lavo ratori da licenziare diversi da quelli stabiliti dalla legge, in riferimento agli artt. 3, 39 e 41, I° comma, della Costituzione.
Omissis. – Diritto: 1. Il Pretore di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,39,41,1° comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma, della L. 23 luglio 1991, n. 223, «nella parte in cui prevede che un ac cordo sindacale possa derogare alla legge in relazione ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare stabiliti alle let tere a), b), c) della stessa norma».
2. La Società Whirlpool Italia ha eccepito l’inammissibìlità della questione per ì1 duplice motivo, da un lato, che 1 lavoratori in causa o hanno stipulato specifici atti di transazione della lite o non hanno impugnato tempestivamente il licenziamento, dall’altro, che il giudice rimettente ha ritenuto rilevante la questione alla stregua dì una interpretazione errata della norma denunziata.
L’eccezione non può essere accolta. Sotto il primo pro filo, essa è fondata su circostanze di fatto, delle quali l’accertamento e la valutazione spettano esclusivamente al giudice del merito, sotto l’altro profilo è contraddetta dalla giurisprudenza costante di questa Corte, secondo cui,ai fini dell’ammissibilità della questione, è sufficiente che la rilevanza sia coerentemente motivata sulla base di premesse non manifestamente implausibili (cfr. da ultimo sent. n. 183 del 1994).
3. La questione non è fondata.
Improprio è innanzitutto il riferimento all’art. 41, 1° comma, Cost., richiamato per primo nella sequenza argomentativa dell’ordinanza di rimessione, su riflesso che esso garantirebbe l’autonomia privata dei singoli, e in particolare «la libertà di ciascun singolo di stipulare un contratto di lavoro subordinato con l’imprenditore nonché di risolverlo secondo le norme vigenti». La censura non è comprensibile se non collegandola all’assunto, palesemente insostenibile, che il contratto collettivo cui rinvia l’art. 5, 1° comma della legge n. 223 del 1991 sia «destinato a produrre effetti nei confronti di un singolo rapporto di lavoro», sia cioè, esso stesso, la causa immediata della risoluzione del rapporto individuale nei confronti dei lavoratori «collocati in mobilità».
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, l’autonomia contrattuale dei singoli è tutelata a livello di Costituzione solo indirettamente, in quanto strumento di esercizio di libertà costituzionalmente garantite (cfr. sentenze nn. 89 del 1984, 159 del 1988, 241 del 1990). L’art. 41 tutela l’autonomia negoziale come mezzo di esplicazione della libertà di iniziativa economica, la quale si esercita normalmente in forma di impresa. Chi stipula un contratto di lavoro subordinato con un imprenditore non assume, per parte sua, una iniziativa economica, bensì accetta di essere inserito nella organizzazione produttiva costituita dall’organizzazione della contro parte.
4. In riferimento all’art. 39 la norma impugnata è ritenuta lesiva: a) dell’art . 39, 1° comma, in quanto eccederebbe i limiti di competenza dell’autonomia collettiva attribuendo ai sindacati maggiormente rappresentativi (ai sensi dell’art. 19 della legge n. 300 del 1970) il potere di disporre del diritto dei singoli alla stabilità del posto di lavoro, in deroga ai criteri legali di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità; b) dell’art. 39, 4° comma, perché nei contratti collettivi da essa richiamati conferisce efficacia vincolante anche per i lavoratori non aderenti ai sindacati stipulanti, senza le condizioni alle quali l’efficacia erga omnes del contratto collettivo è subordinata dalla norma costituzionale. La censura sub a) prende le mosse da una interpretazione che, rovesciando l’ordine logico delle due parti in cui si articola la disposizione in esame, attribuisce alla seconda, dove sono enunciati tre criteri di scelta in concorso tra loro, cara ere di norma imperativa, alla quale la prima parte autorizzerebbe deroghe ad opera della contrattazione collettiva. Perciò i contratti collettivi cui fa rinvio l’art. 5, 1° comma, della legge n. 223 del 1991 sarebbero da annoverare nella categoria degli «accordi sindacali in deroga », analogamente agli accordi sindacali autorizzati dall’art. 4, 11° comma, a derogare all’art. 2103 c. c.
La lettera della legge resiste insuperabilmente ad una simile interpretazione. La disposizione impugnata non prevede alcun potere sindacale di deroga a norme imperative di legge, bensì sostituisce alla determinazione unilaterale dei criteri di scelta, originariamente spettante all’imprenditore nell’esercizio del suo potere organizzativo, una determinazione concordata con i sindacati maggiormente rappresentativi; essa tende a «procedimentalizzare» l’esercizio di. un potere imprenditoriale. Solo in mancanza di accordo vengono in considerazione i criteri indicati nella seconda parte della disposizione, la quale, sotto questo aspetto, ha natura di norma suppletiva. La sussidiarietà della regola legale, intesa a favorire una gestione concordata della messa in mobilità dei lavoratori, risponde all’esigenza di adattamento dei criteri di individuazione del personale in soprannumero alle condizioni concrete dei processi di ristrutturazione aziendale, tenuto conto dei notevoli oneri finanziari imposti dalla nuova disciplina dell’intervento straordinario della Cassa integrazione guadagni alle imprese che si avvalgono delle procedure di mobilità dei lavoratori.
Così precisato il significato dell’art. 5,1° comma, gli accordi sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità non appartengono alla specie dei contratti collettivi normativi, i soli contemplati dall’art. 39 Cost., destinati a regolare i rapporti (individuali) di lavoro di una o più categorie professionali o di una o più singole imprese. Si tratta di un tipo diverso di contratto la cui efficacia diretta – in termini di limiti e modalità di esercizio del potere di licenziamento finalizzata alla riorganizzazione del lavoro dell’impresa – si esplica esclusivamente nei confronti degli impenditori stipulanti (o del singolo imprenditore nel caso di accordo aziendale). Il contratto collettivo, cui rinvia la norma in esame, incide sul singolo prestatore di lavoro indirettamente, attraverso l’atto di recesso del datore in quanto vincolato dalla legge al rispetto dei criteri di scelta concordati in sede sindacale.
5. Non vale obiettare che i contratti collettivi di cui si controverte, poiché regolano l’esercizio del potere di licenziamento in ordine alla selezione dei lavoratori da dismettere dispongono in pari tempo del diritto dei singoli alla stabilità del posto (denominato nell’ordinanza di rimessione (diritto alla prosecuzione al rapporto di lavoro») e in questo senso sarebbero essi pure, contratti normativi. Il diritto alla stabilità del posto non ha una propria autonomia concettuale, ma è niente altro che una sintesi terminologica dei limiti del potere di licenziamento sanzionati dall’invalidità dell’atto non conforme, e quindi si risolve interamente nel diritto (potestativo) di impugnare il licenziamento illegittimo. In correlazione al recesso dell’imprenditore nell’ambito di una procedura di riduzione del personale, il diritto alla conservazione del posto non preesiste all’accordo sindacale, ma dipende da questo e si identifica con il diritto all’applicazione dei criteri di scelta in esso previsti.
L’accordo non è valido – con conseguente annullabilità del recesso intimato dal datore di lavoro – quando è con trario a principi costituzionali o a norme imperative di legge. Poiché adempie una funzione regolamentare delegata dalla legge, la determinazione pattizia dei criteri di scelta deve rispettare non solo il principio di non discriminazione sanzionato dall’art. 15 della legge n. 300 del 1970, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità e devono essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori. Come parametro del giudizio di razionalità o ragionevolezza possono venire in considerazione anche i criteri legali, non come tali, ma in quanto riproducono criteri tradizionalmente praticati nei rapporti collettivi connessi ai licenziamenti per riduzione del personale nel settore dell’industria, sicché lo scostamento da essi deve essere giustificato. Per esempio, la svalutazione del privilegio tradizionale dell’anzianità di servizio, nei confronti dei lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti di età e di contribuzione per fruire di un trattamento di quiescenza, può essere giustificata in una situazione del mercato del lavoro tale da escludere per i lavoratori più giovani la possibilità di trovare a breve termine un altro posto di lavoro, oppure,secondo un criterio accolto dalla stessa legge n. 223 (art. 28), nei casi di ristrutturazioni industriali caratterizzate da elevati livelli di innovazione tecnologica.
6. Alla luce delle precisazioni esposte nei paragrafi precedenti, perde consistenza la censura di violazione dell’art. 39, 4° comma, Cost. coordinato con l’art . 3 Cost. Il problema dell’efficacia erga omnes del contratto collettivo si pone per i contratti normativi, non per quelli del tipo ora in discorso, la cui efficacia nei confronti dei singoli lavoratori (mediata dai provvedimenti individuali di licenziamento) si fonda sulla legge che ad essi rinvia.
P. Q. M.
La Corte costituzionale dichiara non fondata la que stione di legittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma della L. 23 luglio 1991, n. 223, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 39 e 41, 1° comma, della Co tituzione dal Pretore di Torino con l’ordinanza in epigrafe. – Omissis.
NOTA
1.La questione. – Il giudizio di legittimità costituzionale svolto dalla sentenza in epigrafe è stato occasionato da un’ordinanza del Pretore di Torino, il quale, con provvedimento datato 26 maggio 1993, ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità dell’art. 5, 1° comma, della legge n. 223/1991 con riferimento agli artt. 3, 39, 41, 1° comma, della Costituzione 1) .
Il giudizio a quo era stato instaurato da alcuni lavoratori che chiedevano la declaratoria di illegittimità dei provvedimenti di licenziamento emessi nei loro confronti, previa dichiarazione di in validità dell’accordo sottoscritto dall’azienda con le r.s.a., nella parte in cui prevedeva criteri di scelta alternativi rispetto a quelli individuati dall’art. 5. Il Pretore ha ritenuto la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, accogliendo una particolare interpretazione della norma denunciata, secondo cui i criteri legali di scelta dovrebbero avere una efficacia primaria; pertanto la deroga agli stessi contenuta negli accordi lederebbe in primis l’autonomia contrattuale del lavoratore (art. 41 Cost.), che sarebbe influenzato nella sua posizione da in atto negoziale al quale non ha preso parte, ed in secondo luogo, rappresenterebbe un eccesso rispetto ai limiti della contrattazione collettiva, in quanto «il potere di stipulare il contratto di lavoro, come quello di risolverlo, non rientra nell’ambito dei poteri esercitabili dal sindacato in forza del mandato che lo autorizza a contrattare collettivamente» (art. 39 Cost.).
È evidente che la ragione di tali censure deve essere colta nella premessa del ragionamento compiuto dal giudice remittente, secondo cui il contratto collettivo di cui all’art. 5 è «destinato a produrre effetti nei confronti di un singolo rapporto di lavoro», è cioè esso stesso la causa immediata della risoluzione del rapporto individuale di lavoro. Inoltre, secondo il Pretore, un siffatto meccanismo violerebbe anche l’ art. 3 Cost., in quanto si estenderebbe il medesimo trattamento nei confronti di lavoratori che non si trovano nelle medesime condizioni con riferimento alla loro iscrizione o meno al sindacato stipulante.
La Corte costituzionale, deliberata l’ammissibilità della questione, la ritiene tuttavia nel merito infondata, snodando un iter argomentativo volto innanzitutto a chiarire l’interpretazione da dare alla norma impugnata e successivamente a confutare le censure del Pretore con riguardo in primo luogo, al contrasto con l’art. 41 e con l’art. 39, tracciando infine alcuni principi guida in ordine al possibile contenuto degli accordi di cui all’art. 5.
1. La norma denunciata: natura degli accordi e loro effetti. – Sembra utile a questo punto ricordare il contenuto dell’art. 5, 1° comma, della legge n. 223/1991 ed in particolare il significato che esso assume all’interno del complessivo provvedimento legislativo.
La norma individua le modalità attraverso cui deve avvenire la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità, ponendo come criterio principale quello delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, e richiedendo il rispetto dei criteri previsti all’interno dei contratti collettivi stipulati con i sindacati maggiormente rappresentativi (in mancanza delle r.s.a). Nel caso in cui questi accordi non siano conclusi, la legge richiede il rispetto dei seguenti criteri in concorso tra loro: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative.
Tralasciando l’ampio dibattito apertosi in dottrina in ordine al problema dell’individuazione del concreto significato di questi criteri e del rapporto di concorso o prevalenza degli uni rispetto agli altri 2 , ai fini della soluzione della presente questione interessa mettere in evidenza come il legislatore abbia inteso conferire ai criteri legali enunciati un valore meramente suppletivo, attribuendo in via principale agli accordi collettivi la funzione di individuare i criteri in base ai quali scegliere i lavoratori da porre in mobilità 3).
Dunque, al contrario da quanto ritenuto dal Pretore non si pone un problema di deroga dell’autonomia collettiva ai criteri legali, bensì si è in presenza di una legittimazione attribuita direttamente dalla legge ai sindacati e al datore di lavoro mediante la stipulazione di un accordo.
In questa prospettiva, il problema diviene semmai quello di individuare la natura di questo atto concordato dalle parti; infatti , come è noto, la dottrina ha individuato una serie di possibili contenuti degli accordi sindacali, non tutti aventi la medesima efficacia 4) . In relazione alla funzione del contratto, si distingue una parte normativa tendente a definire minimi di trattamento economico-normativo per la quale si pongono i maggiori problemi in ordine alla sua efficacia soggettiva ed una parte obbligatoria, la quale instaura rapporti obbligatori esclusivamente in capo ai soggetti collettivi. Inoltre all’interno della parte obbligatoria si distinguono clausole di amministrazione o gestionali, istituzionali e clausole con funzione compositiva, così che si può ravvisare «nel contratto collettivo la funzione economico-sociale di composizione di conflitti di interesse e di diritti tra gruppi professionali,. ‘ ). Tale funzione complessa si specifica nelle categorie di clausole precedentemente indicate.
La Corte costituzionale, seguendo le indicazioni della migliore dottrina 6) , ha ritenuto che gli accordi in parola non rientrino nell’ambito dei contratti normativi poiché «si tratta di un tipo diverso di contratti la cui efficacia diretta si esplica esclusivamente nei confronti delle parti stipulanti.
Il contratto avente caratteristiche siffatte viene definito gestionale o di procedimentalizzazione ed ha ad oggetto «la detenninazione dei modi e delle condizioni alle quali verrà esercitato (…) il potere modificativo (organizzativo) dell’imprenditore. In altri termini questi accordi non sono volti a conformare in via diretta il contenuto dei singoli contratti di lavoro (…) ma si muovono nell’area delle prerogative che il contratto o la legge riconoscono al datore di lavoro» 7 ).
La funzione principale della procedimentalizzazione è infatti quella di introdurre l’elemento dell’accordo all’interno del normale processo decisionale dell’imprenditore,in ordine a scelte proprie di poteri spettanti esclusivamente a quest’ultimo, garantendo in tal modo che si tenga conto degli interessi antagonistici in gioco. Se tale è la natura degli accordi di cui all’art. 5, non si pone per essi un problema di efficacia soggettiva diretta e non è comunque utile far riferimento ai principi sviluppati in ordine all’applicabilità erga omnes dei contratti normativi: il criterio dell’estensione del trattamento di miglior favore anche ai non iscritti ad un determinato sindacato non potrebbe avere applicazione in questa materia, nella quale il contenuto dell’accordo può essere peggiorativo per alcuni lavoratori e migliorativo per altri. Poiché l’accordo regola l’esercizio di un potere esclusivamente attribuito all’imprenditore ed in quanto tale potere risulta unitario, la disciplina in esso contenuta troverà applicazione nei confronti di tutti i dipendenti 8) . È interessante a questo punto ricordare che accordi di tal genere sono previsti anche in relazione ad una materia contigua a quella in esame, ossia con riguardo alla C.I.G. dall’art. 5 della legge n. 164 del 1975. Da questa e da altre norme dettate sempre con riferimento alla stessa materia può evincersi un principio generale per cui l’ordinamento riconosce al sindacato un ruolo attivo come soggetto di contrattazione nei processi di crisi aziendale. di ristrutturazione e riconversione produttiva 9). Di fronte agli atti di ristrutturazione che rientrano di diritto nell’ambito delle prerogative imprenditoriali, sembra che il sindacato si ponga come fattore di controllo dei poteri dell’imprenditore, il cui esercizio incide direttamente sulla posizione del singolo dipendente 10 ) .
3. Le censure mosse a la soluzione fornita dalla Corte. – Venendo ora all’analisi delle singole censure rispetto alle quali la Corte ha deciso, conviene prendere le mosse dal preteso contrasto dell’art. 5, 1° comma, con il principio contenuto nell’art. 41, 1° comma, della Costituzione. Tale riferimento è definito, dallo stesso giudice delle leggi, improprio, in quanto la tutela fornita dalla nonna costituzionale riguarda in via primaria la libertà di iniziativa economica privata e soltanto indirettamente investe l’autonomia contrattuale, come strumento di esercizio di libertà costituzionalmente garantite. Secondo l’ordinanza di rimessione, l’influenza diretta degli accordi sul rapporto di lavoro del singolo limiterebbe la libertà di ciascuno di stipulare un contratto di lavoro subordinato e di risolverlo secondo le norme vigenti.
Si è già chiarito che gli accordi di cui all’art. 5 non spiegano assolutamente effetti di tal genere, e tuttavia, anche a prescindere da questa conclusione, non è ravvisabile alcun contrasto con la disposizione costituzionale in parola per la fondamentale considerazione che l’atto di stipulare un contratto di lavoro non è per nulla espressione della libertà di iniziativa economica, al massimo è esercizio di autonomia contrattuale. Tale autonomia non è tutelata in via diretta da alcuna norma costituzionale, secondo quanto risulta dalla giurisprudenza costante della Corte: infatti il principio che si può trarre dall’esame delle pronunzie richiamate nella sentenza in esame è che l’art. 41 tutela esclusivamente l’attività produttiva solitamente esercitata in forma di impresa. così che l’autonomia contrattuale rileva soltanto indirettamente come strumento di iniziativa economica 11 ) .
I rilievi del Pretore in ordine al preteso contrasto dell’ art. 5, 1° comma. con l’art. 41 si limitano all’esame della posizione del lavoratore. tuttavia può essere interessante soffermarsi brevemente su un aspetto di cui la sentenza non si occupa perché non presente nella ordinanza di rimessione e cioè gli effetti dell’accordo nei confronti del potere unilaterale dell’imprenditore.
È indubbio che, in quanto parte sostanziale e formale del contratto,l’imprenditore stipulante rimarrà vincolato ai criteri di scelta pattuiti con il sindacato, di modo che nel momento in cui dovrà esercitare il potere di individuazione dei lavoratori da porre in mobilità non potrà far altro che attenersi agli stessi criteri, motivando congruamente la scelta compiuta.
Su tale motivazione potrà esercitare il sindacato il giudice investito della decisione in ordine alla legittimità del provvedimento adottato dal datore di lavoro, che avrà l’onere in giudizio di provare la coerenza causale del singolo recesso rispetto alla causa che legittima il ricorso al licenziamento collettivo. Il lavoratore, qualora voglia avvalorare la tesi dell’intento discriminatorio, dovrà a sua volta fornirne la prova 12) .
1) L’ordinanza di rimessione è pubblicata nella Gazz. Uff., n. 41, I Serie speciale dell’anno 1993, 54 ed inoltre in Mass. Giur. Lav., 1993, 311 con nota di S. FIGURATI, Osservazioni sulla legittimità degli accordi di cui all’art. 5 della legge 23 luglio 1991 n. 223.
2) Per un’ampia disamina del problema: MAzzotta, I licenziamenti, Milano, 1992, 637 e segg. ; MoNTUSCHI, Mobilità e licenziamenti: primi appunti ricostruttivi ed esegetici in margine alla legge, in Riv. Dir. Lav., 1991, 423 e segg.; F. MAZZIOTI, Integrazioni salariali eccedenze del personale e mercato del lavoro, Commento sistematico alla legge 223 del 1991 a cura di Ferraro, Mazziotti, Santoni, Napoli, 1992, 120 e segg.; Misci0NE, I licenziamenti per riduzione del personale e la mobilità, in La disciplina dei Licenziamenti dopo le leggi 108 del 1990 e 223 del 1991 a cura di F. Canoc1, Napolì, 1991, 350 e segg.
3) In tal senso MAzzxorn, op. cit. , 123; MoNTUSCHI, op . cit . , 424; MlsCIONE, op. cit.,353. . . . . .
4) Per tutti GIUGNI, voce «Contratti collettivi di lavoro» , in Enc. Giur. Treccani, VIII, 1988.
5) Così Giugni, op . cit ., 8 .
Commento davvero interessante, è possibile leggere dei commenti di dottrina sulla problematica degli accordi gesionali?
Riguardano anche le vicende giudiziarie di ALITALIA?
Della nostra compagnia di bandiera, vero?
ringrazio per l’attenzione
Certo, Le invio in privato sulla Sua mail alcuni articoli di rilievo in materia.
Quanto alle vicende ALITALIA, certo, gli accordi di natura gestionale sono, ad avviso dello scrivente, proprio quelli utilizzati dalla Ns. Compagnia di bandiera per procedere ai licenziamenti collettivi.
Cordiali Saluti
Nota molto interessante. Potrebbe inviarmi l’articolo completo di tutte le note e anche commenti di dottrina in tema di accordi gestionali?
Le ho già scritto in privato.
La ringrazio